martedì 19 luglio 2016

19 LUGLIO 1992



Era il 19 luglio del 1992, una calda domenica estiva. Una Fiat 126 rubata e imbottita di tritolo, parcheggiata in via D'Amelio a Palermo, sotto la casa della madre del Giudice Paolo Borsellino, esplode. Erano le 16.58. Persero la vita il Magistrato e i cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Della scorta sopravvisse solamente l’agente Antonino Vullo, che al momento dello scoppio stava parcheggiando una delle auto di scorta. 
Un attentato che giunse cinquantasette giorni dopo un altro grande agguato, la strage di Capaci, dove morirono il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Una morte annunciata quella di Paolo Borsellino, lui stesso qualche giorno prima si definì un "un morto che cammina", sapeva di essere il prossimo, ma restò al suo posto a svolgere il proprio dovere, da vero servitore dello Stato. 
Quarantasette Grandi Elettori, il 19 maggio del 1992, votarono Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica.

A distanza di ventiquattro anni sulla strage di Via D'amelio ancora non è stata fatta chiarezza, la verità è ancora lontana, la storia processuale è piena di luci e ombre, depistaggi e "non ricordo", falsi pentiti e presunti mandanti occulti. Su tutta questa triste storia aleggia l'ombra di una possibile trattativa tra Stato e mafia.

Quello che fa male all'Italia ed ai suoi eroi, più di ogni altra cosa, è l'ipocrisia e la speculazione che ruota attorno alla lotta alla mafia. Personaggi che hanno costruito carriere e fortune, che hanno conquistato visibilità ricorrendo ad una antimafia di facciata, ipocrita e finta; personaggi che un giorno attaccano la mafia e il giorno dopo finiscono indagati per collusione.    



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